Bancarotta documentale: Cassazione Sent. n. 23251/2014

Bancarotta documentale: contabilità caotica insufficiente per condanna

Cassazione: sentenza n. 23251/2014

Una condanna per bancarotta fraudolenta documentale non si può fondare sul fatto che la contabilità non è stata consegnata al curatore in un’unica soluzione.

È quanto si evince dalla sentenza 4 giugno 2014 n. 23251 della Corte di Cassazione – Quinta Sezione Penale. Gli Ermellini hanno annullato con rinvio una sentenza della Corte d'appello di Bologna che ha riconosciuto la responsabilità di due soggetti per il reato di bancarotta fraudolenta.

Nel caso di specie, la documentazione contabile, necessaria alla ricostruzione del compendio patrimoniale societario, non fu consegnata al curatore del fallimento in un'unica soluzione, bensì in tre diverse riprese, in un arco temporale di 21 giorni. Parte della contabilità venne recuperata presso terzi, aventi tutti titolo per tenere presso di sé le scritture. Ebbene, sulla scorta di questi rilievi la Suprema Corte ha ritenuto non sufficientemente motivata la sentenza di condanna sottoposta al vaglio di legittimità.

La Suprema Corte ricorda che il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sussiste non solo quando la ricostruzione del patrimonio è impossibile per le modalità con le quali è tenuta la scrittura contabile, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, sono stati ostacolati da difficoltà che possono essere superate solo con particolare diligenza. Ma aver atteso 21 giorni per il deposito di tutta la documentazione disponibile, averla raccolta da soggetti comunque non estranei al contenzioso aziendale, aver acquisito in banca altra documentazione costituiscono circostanze che non sono state indicate (e tantomeno descritte) dal giudice di secondo grado “come condotte fortemente impegnative ed espressive di ‘particolare diligenza’ da parte del curatore”.

Ad avviso della Cassazione, in sostanza, la Corte d’appello non solo non ha chiarito l’impatto effettivo degli elementi di difficoltà, ma non ha neppure fatto luce sull’impossibilità effettiva di ricostruire il patrimonio della società fallita, posto che “una tenuta caotica della contabilità certo non consente una ‘verifica puntuale’, ma ben può consentire appunto una ricostruzione accettabile”.

La motivazione insufficiente della sentenza gravata, in merito alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato ascritto agli imputati, ha inciso anche sulla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale. La Cassazione infatti precisa che il dolo deve essere positivamente accertato, sia pure induttivamente, sicché esso non può essere fatto discendere dalla sola circostanza (costituente l’elemento materiale del reato) che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Se poi si tratta di un’omissione contenuta in limiti temporali alquanto ristretti, appare determinante chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto conoscenza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, piuttosto, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza indagare sulle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest’ultimo caso, si integra l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice. È infatti pacifico che nel reato di bancarotta fraudolenta documentale l’elemento soggetto del reato consiste nel dolo “generico”, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renderà impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore. Per il reato di bancarotta semplice è invece richiesto, indifferentemente, il dolo o la colpa, atteggiamenti mentali che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture.

In conclusione, la S.C. ha rimesso gli atti alla Corte d’appello di Bologna per un nuovo giudizio

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